La “Casa Rossa” racconta silenziosamente storie perdute tra i corridoi consumati dal tempo; storie di dolore ma anche di speranze che si lasciano narrare da mura lentamente recuperate da chi tenta di ricostruire i luoghi che sembrano perduti.
Nascosta nelle vie di campagna tra Noci e Alberobello, in un’area che a fatica si immagina possa esistere, il rosso di una vecchia struttura s’ intravede in mezzo al verde dei prati.
Non ci sono molte opportunità per visitare la Casa Rossa; quando, in occasione del Festival Land Art 50, diventa possibile, posso finalmente concretizzare l’immagine fino ad allora pensata di lei.
Ripescata dal dimenticatoio nel quale rischiava di restare, la Casa Rossa parla attraverso la voce di chi mi guiderà alla sua scoperta.
La storia della Casa Rossa
Nel corso degli anni, questa “masseria” di fine Ottocento ha cambiato più volte la sua funzione. Tuttavia, chi ne conosce l’esistenza, sa che è stata soprattutto un campo d’internamento durante il periodo fascista.
Grazie al parroco Francesco Gigante, dal 1896 al 1939, l’edificio fu una Scuola di Agraria. L’anno successivo, in concomitanza con gli avvenimenti storici di quegli anni, cambiò destinazione d’uso. Vista la sua posizione isolata, nel 1940, infatti, la struttura fu requisita dal Ministero dell’Interno, così da divenire un carcere fascista affidato ai tedeschi. Non fu campo di sterminio ma campo di concentramento, d’internamento se serve ad alleggerire il peso apparente delle parole.
Ai primi nemici, di nazionalità indiana, seguirono deportati da tutta Europa; ebrei, polacchi, italiani ma anche fascisti sostenitori di Mussolini e, nel 1947, perfino donne poco fortunate, tra le quali prostitute; “Donne senza nome” come il titolo del film, girato proprio qui nel 1949, la cui trama racconta la vicenda di una donna colpevole di aver perso la sua “identità” dopo la morte del marito.
Prima di abbandonarsi al tempo e alla memoria, la Casa Rossa divenne anche un centro di rieducazione per minori e infine tornò a vestire i panni di una scuola,
Gli ambienti della Casa Rossa
Disposta su 2000 metri quadri, in Contrada Albero della Croce, nei pressi di Alberobello, la Casa voluta da Francesco Gigante possiede più di 30 vani distribuiti su due piani.
Lo stato di abbandono in cui si mostra, lascia correre l’immaginazione. Sembra di vedere studenti attenti durante una lezione dell’Istituto di Agraria; un attimo dopo riecheggia il rigoroso silenzio misto a speranzose attese di sogni fatti di libertà, nei tempi della guerra.
Raggiungendola, dopo aver attraversato i vicoli della campagna pugliese, colpisce sin da subito il rosso acceso con cui è tinteggiata la grande casa. Ben distinta, su quelle mura, si legge la scritta “non sarò qui per sempre”. Queste parole che nulla vogliono lasciare a finte illusioni, sono state realizzate con il guscio di chioccioline, in occasione dei recenti incontri culturali che si sono tenuti presso la Masseria Gigante.
Poco distante si nota una grande quercia sul cui tronco sono riportate delle incisioni. Quest’albero ricorda le storie di brigantaggio che ebbero interessato il Sud Italia molti anni addietro. Sui suoi rami, rigogliosi come se non avessero età, i briganti venivano impiccati. Ai suoi piedi, su di un masso, oggi è stata volutamente lasciata la scritta #unfuturogigante, l’hashtag con cui raccogliere immagini e pensieri legati alla Casa Rossa.
Gli interni
Proseguendo di pochi metri, s’incontra la cappella affrescata nel 1948 da Viktor Tschernon, un artista lituano che fu uno degli sfollati ospitati qui nel dopoguerra.
Accedendo al cortile interno, si raggiungono gli ambienti del piano superiore. Tra le stanze attorno ai lunghi e silenziosi corridoi, l’immagine di classi composte di studenti e insegnanti, si alterna a quella degli internati intenti a sognare un futuro fatto di libertà, magari distesi su un letto nelle loro camere,
E poi c’è la storica auto nel seminterrato, probabilmente appartenuta al podestà Giangrande, che si occupò del campo di internamento.
Storie di solidarietà
La rossa casa sperduta tra le campagne pugliesi, ospitò diversi professionisti, tra cui pittori, artisti, musicisti, architetti o medici. Alcuni passarono di qui prima di essere destinati verso altri campi: sette di loro finirono ad Aushwitz. Sul finire della guerra, invece, molti ebrei incontrarono le mura dell’edificio quando era già diventato un campo di smistamento, prima del rimpatrio in Palestina.
Sebbene sia facile dare un triste peso all’idea di campo di internamento, in realtà la Casa Rossa ha racchiuso i valori di accoglienza e integrazione. Giacché una clausola garantiva di poter usufruire della forza lavoro insita nella professionalità degli internati, la gente di Alberobello poté offrire loro ore di libertà, ma anche cibo, calore e speranza. E’ il caso di Charles Abeles, musicista austriaco ed ebreo, che riuscì a beneficiare della bontà di una facoltosa famiglia del posto, semplicemente offrendo lezioni di musica alla figlia di questi. Fu lui a comporre il Valzer della Felicità, le cui note sembrano dare, oggi, un’identità anche musicale alla Masseria.
Nel 2002, a ricordo della bontà offerta in quegli anni, alla cittadina di Alberobello è stato donato un Ulivo proveniente da Gerusalemme. Quell’ulivo, segno di gratitudine per l’ospitalità che i cittadini alberobellesi seppero riservare ai deportati, si trova sul Belvedere da cui si staglia lo skyline fatto di trulli.
La casa Rossa oggi
Nonostante le ferite lasciate dal tempo e dall’incuria, la Casa Rossa rientra in un progetto che intende recuperare e rivalutare i suoi spazi, in modo da sfruttarne le potenzialità di memoriale, attraverso il valore storico che l’edificio ha costruito nel corso degli anni, ma anche offrire opportunità di incontro e cultura.
Le installazioni artistiche del Festival Land Art 50, concretizzano i buoni propositi con cui si intende usufruire di un bene storico quale è l’edificio.
macchina dei potestà

Nessuno, o pochi, conosciamo (mi metto anche io) di queste storie. E questo è una grande pecca, perchè conoscerne il senso, più che gli eventi, e ciò che ha portato al loro esistere, eviterebbe errori futuri. Grazie per la lettura.
Grazie a te per aver letto. 😉