Ripercorrere la storia di Auschwitz è certamente un monito che può aiutare a non ripetere certi orrori ma è anche un’esperienza personale che lascia dentro un profondo segno indelebile.

Auschwitz
Auschwitz, Polonia

Libertà, speranza, consapevolezza.

 

La mia visita al più noto dei campi di concentramento si riassume con queste tre parole, semplici ma piene di vita.

Auschwitz
Birkenau

Consapevolezza

 

Pensate se un giorno qualcuno calpestasse i vostri diritti  e vi privasse della libertà dapprima chiudendovi in un ghetto poi costringendovi a partire in treni angusti.

“Primo Levi diceva che se è accaduto una volta può succedere ancora” ci dicevano alla fine della visita guidata mentre alle nostre spalle se ne stava silenzioso il campo di Birkenau.

Giacché non c’è limite alla cattiveria umana, mi sono sempre domandata perché gli ebrei non fossero scappati dai propri Paesi prima del triste epilogo dei campi di sterminio. Poteva essere tanto difficile intuire la tragicità dei futuri eventi man mano che le leggi antisemitiche imponevano nuove assurdità?

Trovo che non sia semplice aprire gli occhi e fare i conti con la realtà. Questa è la non consapevolezza.

Eppure mi vengono in mente le pagine del diario di Anna Frank. La sua famiglia aveva già lasciato la Germania per sfuggire alle leggi razziali e quando anche l’Olanda fu invasa dai tedeschi, secondo quanto riportato da notizie piuttosto recenti, sembra che suo padre avesse chiesto inutilmente asilo per due volte negli Stati Uniti.

Conviene avere sempre gli occhi aperti e non aspettarsi mai che il peggio non possa non arrivare. Lo sapranno bene i profughi di guerra dei giorni nostri, disposti a lasciare le proprie case nell’indifferenza di tutto il resto del mondo.

C’è tanta “non consapevolezza” anche nell’essere semplicemente testimoni delle vicende umane.

La libertà

 

Tra le prime pagine del suo diario, la piccola Anna scriveva come erano cresciuti i limiti imposti dalle leggi razziali: dapprima si doveva portare la stella giudaica poi non si poteva più andare in tram, in bici, in auto.

“Gli ebrei non possono fare acquisti che fra le tre e le cinque e soltanto dove è scritto <bottega giudaica>. Gli ebrei dopo le otto di sera non possono essere per strada, né trattenersi nel loro giardino o in quello di conoscenti. Gli ebrei non possono andare a teatro, al cinema o in altri luoghi di divertimento; gli ebrei non possono praticare sport all’aperto, non possono nemmeno andare a casa di cristiani. Gli ebrei debbono studiare soltanto  in scuole ebraiche. E una quantità ancora di limitazioni simili.”

Tratto da “Diario” di Anna Frank, Edizioni Cultura

 

A questo genere di leggi seguì la segregazione degli ebrei nei “ghetti” e infine la deportazione nei campi di concentramento.

Ammassati per giorni in uno spazio ridotto con pochi punti per far filtrare aria e luce, senza servizi igienici che non fossero due semplici secchi…

Pensate che tortura poteva essere già un viaggio di quel genere.

E pensate quanto tragico doveva essere l’arrivo. Picchiati agli ordini dei soldati tedeschi, separati dalle proprie famiglie, mandati ai lavori forzati o a morire nelle camere a gas, secondo la volontà di chi si era fatto artefice del destino dell’uomo.

Auschwitz
Birkenau

La speranza

 

Tra le tante cose dette dalla guida che più mi sono rimaste impresse, c’è la questione della speranza. Sebbene l’ingresso di Auschwitz fosse sormontato dalla famosa scritta “il lavoro rende liberi” (che per certi versi aveva anche la sua verità giacché solo chi fosse in grado di lavorare poteva provare a sopravvivere), all’arrivo dei “prigionieri” i tedeschi urlavano loro che da lì non sarebbero mai più usciti. Far perdere la speranza era una delle loro strategie per rassegnare gli ebrei  alla catena di eventi che li avrebbe portati alla morte.

Mi torna ancora in mente la piccola Anna Frank, quando al suo diario confessava di voler sperare in un mondo migliore. Non è forse la speranza a tenerci in vita?

I luoghi di Auschwitz

 

Ho visitato Auschwitz e Birkenau sia in autonomia che con la guida.

Se non avessimo le testimonianze dei sopravvissuti, se non avessimo mai visto un film sulla Shoah o se la guida non avesse dato voce ai luoghi, avrei visto solo edifici in mattoni rossi, ciascuno identificato con un certo numero del tipo “blocco 14”, circondati da recensioni in filo spinato.

Le parole danno significato e il racconto della guida scende fino in fondo all’anima, tentando di fare la lotta con la freddezza con la quale avrei voluto non farmi scappare le lacrime.

Molti blocchi custodiscono mostre fotografiche, racconti su chi erano i deportati provenienti dall’Europa. E poi ci sono i blocchi che fungevano da prigione, il muro (ricostruito) dove i prigionieri, denudati a prescindere dalle temperature, venivano fucilati.

Auschwitz
Auschwitz

Il blocco che più mi ha commossa è stato quello dove sono conservati gli effetti personali dei deportati: valigie, occhiali, protesi, scarpe. E poi c’erano quelle tonnellate di capelli, solo una parte di quelli ritrovati e che sarebbero serviti per la produzione di coperte o calzini.

Non so se qualcuno di voi si è commosso ad Auschwitz ma quando il signore che ci accompagnava nella visita ha precisato che “ogni manciata di grammi di quei capelli rappresentava una vita”, mi sono dovuta portare le mani agli occhi perché non riuscivo più a trattenere il pianto. Questo è stato per me il momento più difficile di tutta la visita al museo.

Auschwitz
Auschwitz

Birkenau

 

Birkenau è un’ enorme distesa di terra mista a macerie di camere a gas che i tedeschi fecero saltare in aria, camini rimasti in piedi dopo che le costruzioni in legno furono bruciate per evitare ulteriori epidemie (pensate in quali condizioni di salute sopravvivevano i deportati), baracche in pietra che facevano parte della zona femminile, tantissimo filo spinato e i binari che qui facevano capolinea.

Auschwitz
Birkenau
Auschwitz
Birkenau

Delle tante baracche rimaste in piedi, solo due sono visitabili. Una di queste è la numero 25, dove le condannate a morte venivano rinchiuse prima della fine dei loro giorni.

E’ assolutamente incredibile trovarsi davanti agli spazi angusti tra i letti a castello, se così possiamo chiamarli. Non trovo parole per descrivervi l’interno delle baracche.

Auschwitz
Auschwitz

Ai prigionieri dei campi di concentramento fu tolta la speranza e fu negata la libertà. Restava però la consapevolezza di stare per morire, da un momento all’altro, in un modo oltretutto atroce. C’era la consapevolezza ma era troppo tardi. E poi c’era l’indifferenza del mondo intero che fingeva di non sapere.

Auschwitz
Auschwitz

Informazioni utili sulla visita ad Auschwitz

 

Come ho già scritto qui, per andare ad Oświęcim ho acquistato il biglietto online della compagnia Lajokonik bus.

Anche i biglietti per la visita guidata e per quella libera sono stati acquistati (il secondo a costo zero) sul sito ufficiale del museo.

Dato l’esiguo numero di accessi, se non fossi riuscita a prenotare per tempo la visita, avrei fatto riferimento a un tour operator così come ha fatto Lucrezia di In world shoes. In ogni caso a Cracovia ci sono numerose agenzie turistiche a cui affidarsi per la visita guidata ad Auschwitz.

Sappiate che borse superiori alle misure riportate sul sito ufficiale, verranno lasciate nel deposito bagagli dietro pagamento.

La navetta che collega il museo di Auschwitz al campo di Birkenau (il cui accesso è gratuito e non sottoposto a ingressi limitati) è frequente e non costa nulla.

Infine voglio ringraziare la già citata Lucrezia, Daniela di Orsa nel Carro e Simona di Viaggiare come il vento per le indicazioni che mi hanno aiutata a organizzare la visita ad Auschwitz ma anche l’intero viaggio a Cracovia. Sui loro siti troverete ulteriori e utili informazioni.

Auschwitz
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4 Replies to “Auschwitz, ciò che la mente non può comprendere”

  1. E’ veramente terribile come esperienza. Anche io mi sono chiesta come mai non si siano ribellati o come mai non avessero scelto di scappare in massa prima dei “prelievi”.
    L’unica spiegazione plausibile sta dietro il fatto che i tedeschi si sono ben guardati dal divulgare l’esistenza di questo orrore. Nessuno sapeva, nemmeno gli stessi tedeschi. Ho visto un documentario dell’epoca in cui si vedevano delle donne tedesche filmate mentre venivano portate nei campi di concentramento per registrarne la reazione. Chi sveniva, chi si sentiva male, chi piangeva disperatamente. E poi quelle foto dove si vedono gli ebrei scendere dai treni con il sorriso inconsapevole…là ti si stringe il cuore.
    E poi anche dopo in molti si sono rifiutati di credere all’esistenza dei campi!
    Sono io a ringraziare te Tiziana, fa sempre piacere essere utile…anche se in questo caso non si è trattato di una di quelle visite di piacere! 🙁
    E’ vero, il blocco che contiene gli effetti personali è orribile e la vista di tutti quei capelli non si scorda facilmente. E poi Birkenau con il fatto che sia così spoglio e distrutto lascia ancora di più alla mente l’immagine di sofferenze e morte.
    Auschwitz non si visita con leggerezza e spero che chi si permetta di farlo (ho visto gente farsi i selfie) prima o poi si penta del gesto così stupido.
    Ti abbraccio Tiziana e grazie per aver condiviso i tuoi pensieri!

    1. Anche io cercavo nei volti delle loro foto qualche accenno di pensiero. Solo una bimba ho visto con le lacrime agli occhi, spaventata più degli altri. Povera stella. Gli altri secondo me erano vinti dalla paura che neanche le lacrime uscivano. Che stretta al cuore davvero.
      Sai che io non riesco a vedere i film di quegli anni? Vedo con più facilità quelli che sono meglio narrati per i più piccoli, tipo “il bambino col pigiama a righe” o “La vita è bella”. Quello del pianista mi trovai a vederlo al cinema e non lo voglio mai più vedere. Non riesco proprio. E sono solo film! Pensa nella realtà come dovevano essere terrorizzate quelle persone!
      Comunque Dani, sii allegra perché tu, Simona e Lucrezia siete state di aiuto anche per la visita a Cracovia. Ah poi tu aspettati l’ennesima citazione quando scriverò della miniera di sale!
      Ti abbraccio fortissimo!

  2. Cosa non è un racconto fatto di parole! Quanto l’ho pensata questa cosa. Penso che sia il motivo per cui i sopravvissuti non si sono lasciati vincere dal dolore.
    E’ così assurdo tutto questo!
    Grazie a te Simona. Ah, io che vi citavo in quella giornata. Simona ha fatto così, Daniela colà, Lucrezia pomì… E insomma, vi ho pensate!

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