Se chiedete ad un abitante di Chiang Mai, nota cittadina al nord della Thailandia, cosa un turista dovrebbe visitare, vi risponderanno certamente di salire su per il Monte Doi Suthep.

Boyd, simpaticissimo ragazzo che da solo vale l’alto punteggio alla sua struttura ricettiva, disegna anche una mappa per farci comprendere tutto quello che la montagna sacra ospita sui suoi ripidi fianchi.
Ancora oggi non posso fare a meno di pensare al gigante Doi Suthep come a una vecchia puntata della serie cartoon del Mago di Oz, in cui Dorothy curiosa tra i regni fantastici contenuti in piatti di porcellana (e qui parte la mia fervida immaginazione).
Boyd ci accompagna in motorino all’incrocio più comodo per fermare uno di quei “taxi-tuk tuk” più simili a furgoncini venuti da un’epoca passata, dandoci l’ebrezza di vivere la Thailandia anche stando su un due ruote.
Seguendo i suoi consigli, dovremmo riprendere un altro di questi “taxi collettivi” ai piedi del monte, dividendo la spesa con gli altri viaggiatori. In realtà poi su questo mezzo ci restiamo solo in tre, noi (io e mio marito) e un timidissimo koreano dall’aspetto simpatico ed educato. La spesa pertanto, è stata tale che ancora rimpiango di non aver accettato la proposta di un autista che con gli stessi bath ci avrebbe portato a vedere anche altri luoghi di Chiang Mai.
Ormai è fatta e la salita inizia. L’aria si fa più fresca man mano che procediamo verso la cima.

Scoprire il Monte Doi Suthep
La prima tappa è un piccolo villaggio di hmong che a un certo punto del percorso fa pagare anche l’ingresso. Curiosiamo per un po’ tra baracche e bancarelle di prodotti tipici fino a che scoviamo un gruppo di case con piccoli studenti in divisa che passeggiano divertiti fuori dalle aule.
Non c’è molto che possa interessarmi più di questo e quasi quasi vorrei intrufolarmi nella scuola giacché le porte sono aperte. Meglio evitare però. Di solito, quando azzardo, mi becco sempre qualche rimprovero.
La struttura dismessa, poco più distante dalla scuola più carina, sarà stata certamente un asilo, data l’evidente età dei bambini. Almeno a scuola ci vanno, penso io.


Riprendiamo il taxi-collettivo che, per ciascuna delle tre tappe, si fermerà solo un’ora.
La seconda fermata è quella del King Palace. A giudicare dalla durata che noi e Chin (sempre che così si scriva) ci siamo concessi, si può facilmente dedurre che la visita ai giardini reali (non gratuita) non sia stata sfruttata da ambo le parti.
A noi, piuttosto, interessa il tempio buddhista che ci aspetta alla “terza fermata” di questo tragitto sul Monte.
Il Wat Phra That Doi Suthep
Sotto una pioggerellina che non dà tregua e ci impedisce di ammirare Chiang Mai dall’alto, saliamo i 360 scalini sorvegliati dai due serpenti (o draghi) ai lati.
Si dice che il Wat Phra That Doi Suthep sia uno dei templi più sacri della Thailandia. La leggenda racconta che un elefente bianco, sul cui dorso venne riposta una reliquia del Buddha, morì in questo luogo esatto, come ad indicare dove sarebbe stato costruito il Wat.

L’ingresso al tempio costa 30 bath. Paghiamo, lasciamo le scarpe sicuri di trovarle alla fine della visita e camminiamo a piedi scalzi sul pavimento reso più scivoloso dalla pioggia. Giornata fortunata la nostra,
Curiosiamo, sorpresi come sempre, nel viaggio in Thailandia, di quell’arte tanto diversa da quella del nostro Occidente.
La confusione data dai turisti ci stordisce un po’. E così, con gli occhi pieni di atmosfere mistiche, stupa dorati e statue di Buddha, torniamo alla base del Monte Doi Suthep.
Le piogge provenienti dalla Cina, come mi spiegava Boyd mentre lo ascoltavo avvinghiata a lui in motorino, non ci hanno fermato nemmeno questa volta.


