Lo so, il mio blog racconta di viaggi ma tante volte non posso fare a meno di esprimere quello che penso rispetto a vicende che riguardano il sociale.

Del resto, viaggiare nel mondo significa anche incontrare le più disparate culture, ciascuna con principi e tradizioni che possono essere più o meno discutibili secondo il personale punto di vista.
Significa andare in un posto e rispettare chi ci ospita almeno tanto quanto l’ospite andrebbe rispettato.
Essere ospite
Quando oltrepassiamo la dogana con il nostro bel passaporto ci pensiamo. Non è detto che si debba poter essere ospiti. Non è detto che il diritto a varcare la frontiera sia un nostro diritto.
Le leggi sono strane e non tengono conto del fatto che siamo tutti cittadini dello stesso pianeta.
Si crea confusione, direste voi, se tutti fossimo liberi di entrare e uscire a piacimento da una linea immaginaria.
Però pensiamo ai motivi per cui vorremmo oltrepassarla quella linea di confine.
Per visitare, da turisti, un Paese. Per ricongiungerci alla famiglia. Per ricominciare a sperare in un futuro che il proprio Paese non è stato in grado di offrire, come l’Italia, magari.
Amo il mio Paese ma il mio sentimento è contrastato da un sentimento di rabbia.
Dopo aver studiato tanti anni e conquistato obiettivi senza chiavi né raccomandazioni sono ancora in attesa del posto di lavoro che mi è stato promesso.
Se non avessi questo maledetto coraggio di restare, oltre che una folle paura di partire, io me ne andrei. Avrei già lasciato l’Italia da un pezzo per la verità.
Sceglierei di diventare una immigrata, come tanti prima e dopo di me.
Certo, partirei dalla mia terra con tutti i documenti in regola. Perché è questo che fa la differenza, un pezzo di carta. Non la storia, non le ragioni, non un diritto umano. Solo un misero pezzo di carta attorno a cui ruotano soldi, regole, discussioni, parole.

Volevo solo raccontare di quella volta che Trump era nella sua Trump Tower a New York. Poi ho divagato.
Volevo raccontarvi cosa succede quando un Presidente così contestato come Trump, è in giro nella Grande Mela.
Vi avrei raccontato con il sorriso che un buon tratto della V strada viene bloccata a macchine e pedoni per una quantità indefinita di ore. Fino a quando lui decide di uscire di casa.
In strada è tutto un movimento ordinato di persone.
I giornalisti hanno il loro spazio per riprendere la scena del passaggio delle sole auto presidenziali. Nemmeno stesse nascendo il Royal Baby.
Un gruppo di persone contesta Trump. Ci prova a contestare. Lo fanno con una tale pace che nessuno starebbe a sentirli se non fosse per tre giornalisti, fra I tanti, che li intervistano.

“Perché siete qui?” ci chiede uno di questi giornalisti, accortosi della nostra presenza.
“Siamo solo curiosi” rispondiamo noi.
“Da dove venite?” ci chiede ancora.
“Sud Italia.”
“”Basilicata?” ci domanda sicuro, probabilmente perché conosce bene le origini lucane dell’attuale sindaco di New York.
“No, Puglia. E’ vicina alla Basilicata” precisiamo.
“Cosa ne pensate di Trump?”
“Trump non ci piace. Pensiamo che non piaccia all’Europa in generale. L’unica cosa che apprezziamo è il suo ciuffo” gli spieghiamo con una chiara ironia.

Il tempo passa. Un cordone di biciclette si forma all’incrocio tra la 5th Ave e la 56th St.
Eccole le auto presidenziali, protette da quel cordone di uomini in bicicletta e da una marea di poliziotti.
Tutta questa sceneggiata solo per uscire di casa!
“Che brutta vita deve fare Melania” penso io. A questo punto non può nemmeno scendere a farsi un giro nel negozio sotto casa senza che si faccia tutta sta caciara.


La strada si apre solo in minima parte.
Ci avviciniamo ai giornalisti, socievoli e per nulla impettiti. Qualcuno è nel mezzo di una diretta. Un altro ci mostra sul suo telefono dallo schermo rotto, quello che si è visto dalla loro postazione: nulla di più di quello che noi, precedentemente poco più distanti, avevamo visto. Solo l’auto presidenziale, scortata da altre auto, con i finestrini oscurati.
La strada resterà chiusa per un’altra quantità di ore indefinita, sebbene in buona parte sia stata riaperta.

I poliziotti pranzano da Brud & Butter, il locale più vicino alla Trump Tower (badate che credo che ora si sia trasferito) mentre un solo giornalista resterà fino a sera seduto lì, da solo, in attesa di chissà che.
“Trump torna?” gli chiediamo.
“No, è solo che ho avuto dei problemi e sono ancora qui” ci risponde lui ancora vestito in giacca e cravatta.
Sapete, gente che vive a New York mi ha assicurato che i negozianti non sono per nulla contenti che Trump vada in città. Pensate quanti potenziali clienti perde in quelle ore un negozio come Tiffany, tanto per fare un esempio.
Ed è anche vero che i Newyorkesi, cittadini molto aperti, socievoli e talmente capaci di integrazione, sono i primi a non amare Trump.
“Lo avete votato e ora ve lo tenete” ci verrebbe facile pensare.
Ma quando ascolto il pianto straziante di quei bambini, figli di migranti messicani che hanno cercato di sperare in un futuro chiamato “Stati Uniti”, mi chiedo solo dove siano le sanzioni per chi non rispetta la Dichiarazione Universale dei diritti umani, sottoscritta anni or sono da una lunga lista di Paesi.

Sono timidissima ma quando si tratta di questi argomenti non mi trattengo. Penso che una lezione importante che le vecchie generazioni abbiano saputo insegnarci, siano state le contestazioni del ‘68.
Ci si deve interessare se si vuol cambiare le cose.
Senza prenderci a brutte parole, per carità, ma se ne dovrebbe discutere.
Occorre che ogni Stato faccia la sua parte nella gestione di problemi comuni e nel contrasto degli illeciti motivi di danaro sporco nascosti dietro le onde migratorie.
Bisogna però anche “governare un Paese con il cuore”, come direbbe la moglie del contestatissimo Trump.
Bisogna rispettare i diritti base di ogni uomo, donna, bambino e lasciare che ognuno possa sperare in un futuro migliore.

Informarsi, capire, farsi un’idea propria senza seguire il gregge, partecipare, agire. Questo bisognerebbe fare, ognuno di noi nel suo piccolo. Le idee possono essere diverse, ma se lo spirito è cercare di migliorare questo mondo che sta andando all’aria, allora il confronto non può che essere positivo. L’importante è non rimanere indifferenti, perché l’indifferenza è la fine di tutto.
E’ quello che facciamo più spesso. Certamente ci sentiamo impotenti non essendo ciascuno di noi il diretto responsabile di scelte politiche. Ma la storia ci insegna che le conquiste fatte a livello sociale e politico, hanno visto attive le coscienze del popolo.
Restare inermi a guardare un mondo soffocato da chi è solamente assetato di successo, potere e soldi (persone per le quali ho la nausea) è il nostro guaio peggiore.
L’indifferenza è la fine di tutto. Concordo assolutamente.
Condivido il tuo pensiero e condivido la tua rabbia. Anche io penso che ci meritiamo di più che uno squallido status di precariato e che dovremmo lasciarlo questo Paese. E anche io come te penso che i tempi del 68 non torneranno più. Parlo da disillusa, da persona piena di rabbia contro me stessa in primis e contro queste ultime generazioni di politici che meriterebbero loro un bel viaggio in gommone solo andata!
Pensa che ignoranti che sono gli italiani e pensa che immensi demagoghi che sono i politici per riuscire a veicolare la nostra rabbia contro i migranti 🙁
Vabbuò, sei fantastica davvero hai detto quelle cose alla reporter hahahah muoio! 😉
Si, ho detto davvero quelle cose! Ma sti giornalisti non sono per nulla presuntuosi! Ci si parlava alla grande. Noncerto montati!
Ammappeta se stai arrabbiata anche tu Dani. Facciamo un bel gruppo di incavolati neri. Che poi davvero, i migranti non hanno nulla a che vedere con una crisi che, a memoria, è coincisa con l’introduzione della nuova moneta.
I migranti non tolgono lavoro e non occupano lo spazio dove viviamo nella vita quotidiana. La verità è proprio a monte. Come è che promettono posti di lavoro e per magia spariscono dopo due mesi? Capisci che qua ci stanno a fare fessi e fessi lo si è fino a un certo punto. Sai quante volte mi viene di andarmene?
Vabbè torniamo alle sane risate, quelle di me che ammetto l’interesse per “ciuffo biondo”.
Mi hai profondamente colpita con questo post Tizzi. No, non hai divagato, hai perfettamente ampliato un discorso importante, con riflessioni che vengono spontanee pensando a Trump e alla sua politica. O alla nostra se per questo.
Non posso fare a meno di pensare a quanti italiani siano stati e sono tutt’ora migranti. Non tutti persone per bene purtroppo. Perché il bene e il male sono ovunque. E penso che potevo essere io stessa una fuggitiva, considerati i lavori che ho sempre svolto, che non mi hanno permesso di auto sostentarmi. Quante implicazioni nelle riflessioni.. Nella vita.
Un abbraccio,
Claudia B.
Hai detto delle cose importanti. Per comprendere bisogna sapersi “mettere nei panni di”. Bisognerebbe capire che siamo noi italiani i primi a voler andar via, sia pure con grande dispiacere, per via della grande mancanza di lavoro che affligge il nostro Paese. Quindi come possiamo condividere determinate scelte politiche?
Un fortissimo abbraccio a te, Claudia.